Brexit: nostalgia e rabbia prima che danno
- salvatore
- 12 dic 2019
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 5 feb 2020
Nella seconda metà degli anni ’60, molto giovane in età, ho cominciato a guardare con ammirazione e sognare di andare in Inghilterra. Avevo 14-15 anni e risentivo del clima dell’epoca. Forse era gratitudine per la liberazione, ma quella cultura anglosassone che si stava imponendo sembrava a tutti migliore, più concreta, più sicura, più giusta. Intendo, nel bene e nel male, un sistema di concepire, conoscere ed affrontare la vita e le sue contrarietà. Insomma in quel mondo in trasformazione e in ricorsa per un decisivo e, si credeva allora, definitivo miglioramento, una mentalità diversa saliva sul palcoscenico dell’Europa autodistrutta. Quella americana, senza dubbio, ma in quei decenni soprattutto quella inglese.
I Britannici, forse per il loro passato coloniale, erano in fondo una specie di cerniera tra gli altri Europei, compresi i colpevoli Tedeschi e Italiani, e gran parte del resto del mondo compresi gli USA. Il bello era saperli contemporaneamente Europei. Che diamine, i miei antenati antichi Romani in fondo erano arrivati fino al confine della Scozia! Negli anni ’60 era la Swinging London la Mecca verso cui tutti, apertamente o meno, periodicamente e per quasi tutto si inchinavano per una preghiera laica. E’ una novità se cito la moda con l’invenzione della minigonna di Mary Quant? O l’esplosione della musica dei Beatles, nominati addirittura baronetti? Per un adolescente cosa dire della moda dei capelli lunghi o degli stivaletti? Banali aspetti formali certo, ma forma pacifica ed innocua, indicativa di voglia di cambiare schemi. In realtà tutte queste novità inglesi davano l’idea che la leggerezza di vita potesse ricomparire, se mai c’era stata. Che dire delle vacanze-studio per imparare l’inglese? Pellegrinaggi, iniziati allora per apprendere un idioma considerato, ironia della sorte, lingua capace di unificare addirittura il mondo, altro che solo l’Europa.

Mi sto accorgendo che al momento non mi interessa ragionare sugli effetti economico–finanziari della Brexit o su quelli politici o militari, verrà il momento e vedremo. Farà più male alla Gran (Gran?) Bretagna o all’Europa? Non lo so e per ora non me ne curo. Per ora sento solo la stessa amarezza e scoraggiamento che si provano quando ti lascia una persona su cui avevi contato, di cui ti fidavi e che avevi come modello cui miravi. Ma ora modello in cosa?
Il parlamento inglese, in completa baraonda, non ha certo dato motivi di invidia a quello Italiano, che se non altro è da sempre più abituato al caos e riesce spesso a cavarsela almeno per il rotto della cuffia. Non mi pare che i politici inglesi abbiano mostrato sincerità nello spiegare a cosa si potesse andare incontro abbandonando la UE. Il fairplay? Ho creduto che fosse possibile per lo meno avvicinarsi ad un simile stile di rapporti sociali. In questa decisione il comportamento truffaldino da parte degli scorretti politici inglesi e la rozza dabbenaggine della popolazione in generale, niente affatto migliore della “nostra, è una chiara indicazione che non c’è nulla da imitare. Dicono che con lo svecchiamento della popolazione, col tempo un nuovo referendum potrebbe far chiedere una riadesione del Regno Unito all’Europa. Forse. Ma quando dovrebbe accadere? Tra molti anni? Personalmente devo fare i conti con la mia età e comunque, nel caso, non so se me ne interesserà ancora qualcosa. Per ora per me questa fuoriuscita è solo una delusione, un misto di nostalgia per ciò che nel passato invidiavo e mi affascinava e di rabbia per ciò che nel presente mi trovo davanti. A Brexit avvenuta non credo avrò ancora voglia di andare in Inghilterra.
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