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CUSOPO- Cioè?

  • Immagine del redattore: salvatore
    salvatore
  • 12 dic 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 27 feb 2020


Intraprendendo una qualunque attività per la prima volta, credo sia “cosa buona e giusta” presentarsi. Nel caso specifico ciò non significa banalmente mostrare i propri dati anagrafici, quanto esporre i propri obiettivi e le proprie aspettative, confessare le proprie insofferenze.

Insofferenza

Ad esempio non riesco a sopportare più, e da tempo in realtà, di veder trasformato qualunque dibattito o comunicazione o incontro in una accesa discussione. Inoltre, se si è avversari in qualcosa, questa diventa spesso animata fintanto che, con il solo strepitare più o meno violento, c’è uno solo che riesce ad imporre la propria opinione (esemplificazione famosa è Sgarbi, non certo l’unico). Comunque per gli interlocutori c’é l’obbligo automatico di alzare sempre più la voce per farsi sentire, anche quando sarebbe il proprio turno di parlare normalmente e magari dopo che si è ascoltato pazientemente. Il tutto in un crescendo caotico ed improduttivo. Siamo così abituati al tentativo di prevaricare o imporsi nel discutere, che questo capita, naturalmente con spirito e motivazioni diverse, anche nei discorsi tra amici o negli incontri di qualunque organizzazione, circolo o associazione, teoricamente indirizzati a decisioni pratiche e condivise.

Così in ogni ambito

Pensate alle assemblee condominiali come diventano invece infruttuose riunioni e ci si trova come su di un ring da pugilato verbale tra persone che sul pianerottolo si sono appena salutate cordialmente, o ai gruppi di persone che pur avendo medesimi obiettivi hanno qualcuno che si ritiene unico depositario di soluzioni ai problemi. Ogni dialogo si trasforma in imposizione di una linea unica che deve sovrapporsi a tutte le altre e in realtà alla fine si annega in speculazioni che fanno perdere a tutti il filo di tutto.

“Ma è sempre accaduto!”, direte. Vero. Sicuramente però in modo meno spinto, non inevitabilmente, non a qualunque costo, non con regola unica e assoluta, non in tutti i momenti della vita e non nell’affrontare qualunque problema. L’aggressività verbale ora non ha più inibizioni e non parlo della veemenza con cui si difendono i propri argomenti, quanto di quella con cui si impedisce agli altri di fare altrettanto.

Li chiamiamo ancora “social”?

L’altra modalità insopportabile di rapporti tra persone è quella mediata dai cosiddetti “social”, termine che non ha conservato nulla della traduzione iniziale (= sociale, socievole, affabile, amichevole, cordiale; ho consultato appositamente “Il nuovo Regazzini. Dizionario inglese-italiano, italiano-inglese, Zanichelli, però del 1990). Non scopro nulla di nuovo sottolineando come, solitari nella propria stanza, come forma di autoerotismo digitale, grazie ai potenti ausili del computer e della rete, si raggiungono alti livelli di arroganza e prepotenza, giustificati (giustificati?) da avere idee diverse. Il tutto tradotto in offese ed insulti, alimentati dalla quasi sicurezza di impunità.

Poi le fandonie

Per non parlare delle fake news (altra modalità spregevole di pseudo informazione) che su facebook, twitter, whatsapp e via dicendo (non sono ulteriormente aggiornato sui nuovi sistemi di comunicazione), grazie al fatto di venir presentate quali sintetiche affermazioni che sono come fucilate, non lasciano spazio e tempo a riflessioni nemmeno con se stessi, figuriamoci con coloro cui si vuole rispondere, né a mediazioni, tanto meno a ricerca di riscontri reali e sembrano autorizzare quasi esclusivamente un’altrettanto rude e acritica risposta.

Alla fine un blog

In questo contesto ho personalmente intravisto (da buon ritardatario) quale migliore “sfogo” il ritagliarmi uno spazio in cui la propria posizione, giusta o sbagliata, completa o anche partigiana, venisse semplicemente scritta, come dall’opinionista di un giornale. Ma non tutti abbiamo a disposizione un giornale su cui scrivere la nostra opinione! Dico opinione ragionata e documentabile, o legata a sensazioni, magari ironica o anche sarcastica e non ingessata, ma non slogan o ingiurie o falsità in mala fede.




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E ora?

A questo punto ritengo che chi dall’altro lato dello schermo avrà voglia, potrà leggere il blog ricercandolo. Chi non vorrà leggerlo, potrà ignorarlo. Chi condividerà quanto scritto, troverà il suo personale modo di partecipare a quelle idee e manifestare la propria adesione. Chi non le condividerà, una volta lette, potrà snobbarle o, se sentirà la necessaria missione di commentarle rabbiosamente e rancorosamente, non gli resterà che sfogare la propria eventuale idrofobia ingiustificata o da solo con se stesso davanti ad uno specchio o in branco con i propri simili, senza concessione da parte mia di un’obbligatoria risposta. Ciò che esprimerò sarà semplicemente un’opinione senza voglia di scatenare zuffe, conflitti o combattimenti e avrò comunque la consapevolezza di aver potuto dire la mia. Qui non si tratta di un vituperato, “educato” e “corretto” buonismo (ammesso che sia da vituperare), quanto del fatto che la vita della giungla credevo l’avessimo ormai dimenticata da secoli e non mi sembra utile dimostrare che in realtà appaia più civile di noi chi ancora nella giungla ci vive realmente e che noi chiamiamo, anche qui forse con un po’ di disprezzo e presunzione, “aborigeno”.

Intervento lungo ma volevo spiegarmi. Ah, un’ultima cosa. Perché CUSOPO? Perché ho la presunzione, siate comprensivi, di avere opinioni su CUltura, SOcietà, POlitica.



 
 
 

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