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PENSIERI ad ALTA VOCE ed in LIBERTA’ su una SANITA’ al PASSO coi TEMPI. 3 (a puntate)

  • Immagine del redattore: salvatore
    salvatore
  • 6 dic 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 23 dic 2020

....................................................................................................................................................................................Quindi da tutto questo?

Penso e non solo io che ogni volta che lo specialista ospedaliero affronti limitata casistica medica, chirurgica, ostetrica, anatomopatologica o di qualunque altra specializzazione come conseguenza delle dimensioni ridotte del numero dei destinatari delle cure o delle difficoltà di accessibilità all’ospedale, non saremmo di fronte a dei presidi ospedalieri, ma a delle possibili trappole, dei luoghi in cui medici ed infermieri (e pazienti) sarebbero di fatto costretti spesso a giocare alla roulette russa di diagnosi e terapie, cioè tutto potrebbe andar bene o tutto terminare con una disfatta irreparabile, o più frequentemente con tante possibili situazioni intermedie grigie di diagnosi e cure inutilmente protratte nel tempo in attesa della guarigione.

L’epoca attuale non suggerisce che in sanità (e non solo) si richieda dispersione delle forze, ma concentrazione.


Punto 2: il personale sanitario. Temo di scadere nell’ovvio dicendo che l’interazione con l’umanità malata, qualunque essa sia e qualunque gravità manifesti, non può che avvenire con una controparte umana sana ma a cui sia lasciato sul lavoro tempo sufficiente da dedicarle. Concetto buonistico (questo sì) e diplomatico, perché si dovrebbe chiaramente ribadire che il personale sanitario tutto non possa venir oberato di incombenze e di compiti eccessivi e troppo disparati, spesso alcuni che hanno anche poco a che fare con la professione scelta.


La pandemia ci ha confermato questa verità già conosciuta da sempre da chi è impegnato in questo campo , ma sepolta dall’andazzo attuale per cui molti politici sbrigativamente e colpevolmente non si rendono conto che in questo ambito anche quando un essere umano non può non essere presente, è spesso così oberato di incombenze, magari perché lasciato solo a badare di notte ad un’intera corsia (conseguenza legata ad esempio al recente blocco o riduzione marcata del turn-over del personale sanitario), che riesce ad offrire solo pochi minuti della sua attenzione ai bisogni del singolo paziente.

Penso in particolare a medici, infermiere ed infermieri ipocritamente ora definite/i eroine/eroi, cioè quelli che un attimo prima dello scoppio della pandemia erano ignorati ed ora nell'apparente attimo dopo dimenticati o addirittura osteggiati.

O magari si illudono di poter affidare solo a qualcosa di inanimato e a situazioni emotivamente glaciali questo compito, ottenendo in questo modo il risultato comodo per loro di ridurre il numero delle persone da impiegare e quindi da pagare. Il digitale o il virtuale cioè invece di essere intesi quali ausili agli operatori nelle loro attività, vengono ipotizzati come dei sostituti degli operatori. Tra l’altro i sostituti meccanici o le meraviglie del digitale non mi risulta che siano comparsi nella maggior parte delle corsie o degli ambulatori.

Immaginate di questi tempi un contagiato e malato di Coronavirus (parlo per chi non ha la “mens capta” da negazionista) isolato dalla famiglia, semichiuso in un involucro trasparente quasi come in un bozzolo, con l’angoscia di non sapere come sta, come starà, quando finirà, se finirà, come finirà, cosa deve fare, cosa sanno di lui i familiari e immaginatelo confidare tutto questo ad un robot o ad un terminale di computer o in pochi secondi ad un’indaffarata infermiera che deve correre a fianco del prossimo letto. Tutto ciò per accennare solo all’assistenza sanitaria, che in certe occasioni, come questa, risulta comunque più importante e desiderata di qualunque terapia.


Ofelè fa’ el to meste’

Ma, fedele al detto che ho imparato appena arrivato a lavorare da queste parti “ ofelè fa’ el to meste’ ”, torno con la mente a quanto ho vissuto in ospedale.

Non so bene da dove cominciare.

Inizio dal fatto che nei posti dove i medici sono pochissimi o soprattutto dove capita che la casistica pur non numerosa sia senz’altro sproporzionata al loro numero, i sanitari sono costretti a turni faticosi, spesso contro tutte le regole e i contratti nazionali, contro tutte le norme europee. Mi mantengo sul generico. Sappiamo che in varie parti d’Italia ci sono ospedali in cui capita che chi è di guardia di notte, magari una notte agitata da pazienti malconci, invece di andarsene a casa a riposare, fa poi dei turni di lavoro in ambulatorio o in reparto, spesso quasi obbligato o consigliato per ragioni “legali” a mascherarli sotto altre denominazioni, come se la forma cancellasse la sostanza (sapete tipo il netturbino che sembra offensivo chiamare così ed allora si crede di cambiare tutto se lo si nomina operatore ecologico!); situazioni che sono però comunque turni aggiuntivi ad un lavoro di solito già massacrante in situazioni non di emergenza.

Immaginate la sicurezza, la precisione, l’affidabilità e la disponibilità che può avere un professionista in questa situazione quando si trova a fronteggiare condizioni che coinvolgono malattia e salute. Immaginate anche l’affidabilità e la sicurezza dell’ospedale in cui tale medico agisce. Sarebbe auspicabile che in caso di “incidenti” in reparto, considerazioni su questo contesto non voluto dal sanitario le facesse sempre anche la magistratura per l’opportuna attribuzione di responsabilità.


Oppure ospedali in cui la carenza di personale non sia così disastrosa (sicuramente in minoranza in Italia) e consenta pause sufficienti, ma impedisca di fatto che il medico si allontani troppo a lungo dal circoscritto luogo geografico di lavoro e lo faccia diventare una specie di servo della gleba, non quello come in altre epoche storiche legato alla zolla da coltivare, ma quello vincolato ai mattoni di cui è costruito il suo reparto.

L’allontanamento dal lavoro tra l’altro non è sempre richiesto per motivi di svago (per fortuna una porzione di ferie sono garantite, in genere però solo una porzione, infatti ferie residue continuano per molti ad accumularsi), no, il respiro dal luogo di lavoro è talvolta richiesto per recarsi a seminari o congressi per aggiornamento professionale, concessi col contagocce e che di conseguenza si riescono a frequentare solo col contagocce e questa diventa un’ulteriore causa di diminuita preparazione e ridotta riqualificazione che contribuisce con l’eventuale ristretta casistica già citata a creare in certi posti personale medico scarsamente adatto al ruolo che gli viene chiesto, oltre che progressivamente demotivato e frustrato, ma questo non credo interessi a chi è curvo sul pallottoliere per fare la conta di quanta gente ha dalla sua parte o di quanta ne ha conquistata come in una partita di risiko.

Si ha idea di quante nuove tecniche, per esempio in chirurgia, ammesso che si sia riusciti ad acquisirle nella loro teoria appunto frequentando qualche corso o congresso, non possono poi essere introdotte, sperimentate ed utilizzate per mancanza di personale che le possa impiegare formando adatte equipes, dato che contemporaneamente ad esempio il medico in reparto deve pensare alla corsia, agli ambulatori, alla sala operatoria delle “routines”, ai contatti con i parenti, alla burocrazia sempre più invadente, ai dannati sistemi digitali che funzionano a singhiozzo, etc? Anche in questo modo il piccolo ospedale o l’ospedale isolato, con inadeguato personale, rimangono ancora più indietro e per l’ignaro o sprovveduto paziente rischiano di diventare sabbie mobili.

…………………………………………………………………..............................................................................................................III puntata (segue)

 
 
 

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