VELOCI CONSIDERAZIONI SU UNA DANZA VIRTUALE
- salvatore
- 23 gen 2021
- Tempo di lettura: 4 min
Poco tempo fa ho assistito ad un incontro on line incentrato sulla danza, organizzato dalla Civica Scuola di Musica Danza e Teatro della Provincia di Sondrio, di cui erano presenti le “massime autorità” Giovanni Campia e Luca Trabucchi, incontro abilmente moderato, meglio dovrei dire stimolato, da Mira Andriolo.
Le effettive protagoniste però, al centro dell’attenzione e delle interviste, sono state giovani artiste, ballerine ovviamente.
Per prima cosa devo ammettere che mi sembra quasi un po’ strano usare il termine incontro in un periodo in cui quello che proprio non si può fare è incontrarsi, radunarsi, cioè “fare assembramenti” come tutti ormai, tanto chi è ligio quanto chi trasgredisce, recitano a memoria, ma proprio questo, secondo me, suscita il primo pensiero per ciò cui ho assistito, che mi viene da definire “commovente”.
Perché dico commovente? Perché anche in una situazione come quella che stiamo vivendo quell’appuntamento lo si è voluto onorare e vi è concentrata tutta la dimostrazione della intrinseca necessità, su cui normalmente quasi sempre sorvoliamo, di trovare uno sfogo al desiderio di esprimersi, di comunicare, di mostrare in qualche modo quello che coscientemente o inconsciamente viviamo e sentiamo.

Aspetti della nostra vita che vengono affidati così alle manifestazioni di ciò che chiamiamo cultura, nel caso in questione la danza, e che assumono allora la funzione di ricordarci pensieri e sensazioni accantonate dalla nostra routine di vita.
Una necessità di comunicazione che in questo intervento on line (come sicuramente in altri simili) ha dimostrato di voler superare il periodo contingente e l’impossibilità di vedersi, di lavorare assieme e magari di scontrarsi un po’ e che ha invece deciso di farsi aiutare da tutti i meccanismi che fortunatamente la tecnica ci mette ora a disposizione.
Non sono minimamente esperto (altra parola molto in voga in questo periodo!) di danza, ma che dico esperto, fino a non molto tempo fa, tre o quattro anni forse, nemmeno consideravo questa espressione artistica, al massimo limitata alla occasionale e magari forzata visione per pochi minuti di qualche balletto in qualche programma di varietà televisivo del sabato sera.

Devo dire che una potente sensazione che ha accompagnato in me i ritratti verbali e le rappresentazioni video presentate dalle quattro ragazze è costituita dall’immagine virtuale, che ho avuto però reale innanzi ai miei occhi, dello sforzo continuo anche se monotono come quello della goccia che scava la roccia, che ha sicuramente preceduto la precisione di ogni momento di quelle rappresentazioni e che accompagnava come un’ombra le parole pronunciate, fuor di dubbio lo stesso allenamento che immagino preceda ogni altro tipo di manifestazione artistica ben riuscita, come anche il successo di un esame a scuola o la vittoria in una competizione sportiva, realtà però ben più abituali per noi “comuni mortali”.
D’altro canto è stata proprio una delle artiste intervistate che ha detto “la danza non è tutta rose e fiori” e me ne deriva l’insegnamento che mi obbliga però a chiedermi “in quale cosa benfatta è tutto rose e fiori?”. A questo proposito mi salta in mente una frase attribuita a Vidal Sasson (imprenditore e stilista britannico): “L’unico posto in cui “successo” viene prima di “sudore” è il dizionario”.

Le parole di Milena, Selene, Maria, Aurora mi è sembrato trasudassero questo concetto, decisamente ribadito come cosa ovvia con sconcertante semplicità. Ho immaginato, mentre ascoltavo i loro pensieri, quante volte ciascuna di loro avrà incontrato al proprio inizio nella scuola a Sondrio o nei posti in cui si trova ora a lavorare, giornate di pioggia, in cui sarebbe stata bene rintanata a casa, o di sole, che invitava a sbizzarrirsi in altri luoghi, o giornate di stanchezza in molte delle quali avrà dovuto incamminarsi come un diesel che parta a freddo in salita, o giornate che saranno andate male e la lotta maggiore sarà stata nei confronti della tentazione di mollare, tutto magari.

Devo anche riconoscere che è stata consolante l’immagine di vedere all’opera e di ascoltare persone giovani, soprattutto perché “stanate” in momenti diversi della loro vita artistica e professionale; consolante perché concede la sicurezza che tutto può continuare e continua senza lasciare indietro quello che la cultura ha tramandato; giovani impegnate in danza “classica” e giovani in danza “moderna”, che tra l’altro, non so perché, a me ha fatto pensare invece proprio a quello che poteva esserci nell’antichità della Grecia; chissà forse perché le figure, quasi smorfie, disegnate della ballerina mi hanno fatto pensare ai mascheroni teatrali greci di quei tempi.
Mi è anche venuto da pensare che in un certo senso tra tutte le manifestazioni artistiche, la danza, che logicamente è sempre accompagnata dalla musica, ne possa però anche fare a meno, godendo di molta autonomia. In questa occasione, come altre volte mi è capitato di fare, ho volutamente per breve tempo annullato l’audio. Le movenze sul palco suscitavano ugualmente impressioni indipendentemente dalla musica, la cui presenza ovviamente rende più completo il tutto, più significativo, più incisivo, con più sensazioni.
Non è così strana, secondo me, questa annotazione. La nostra vita quotidiana è fatta da atti che risultano abbastanza banali, quando non dozzinali. Gli stessi atti ad esempio molto spesso nella cinematografia appaiono invece pieni di suspence, importanti, a volte quasi epici. Mi sono chiesto più volte la causa di così diverse sensazioni suscitate da medesimi avvenimenti. Quasi improvvisamente ho realizzato (altri lo avranno pensato prima, ma bisogna arrivare personalmente a certe conclusioni!): nei films è la colonna sonora di ogni specifico momento che può renderlo epico e nella vita quotidiana non c’è colonna sonora. Ma nella danza già il movimento da solo sembra poter essere “epico”....
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